Archivio mensile 29 Settembre 2010

DiRaffaele Boccia

Divisione ereditaria: la sorte dell’immobile comune (art.720 c.c.)

In tema di divisione giudiziale di compendio immobiliare ereditario, la regola generale (art. 718 c.c.) riconosce a ciascun coerede il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti.

Tale regola trova deroga, ai sensi dell’art. 720 c.c., nel caso di “indivisibilità” dell’immobile ovvero di “non comoda divisibilità” dello stesso.

La Giurisprudenza ha chiarito che il concetto di comoda divisibilità di un immobile presupposto dall’art. 720 c.c. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico-funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso (Cassazione civile  sez. II  29 maggio 2007, n.12498).

La non comoda divisibilità di un immobile, integrando un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi legittimamente predicabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dalla irrealizzabilità del frazionamento dell’ immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dalla impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessivi.

L’ immobile non comodamente divisibile – salvo ragioni di opportunità, ravvisabili nell’interesse comune dei condividenti – va attribuito al condividente titolare della quota maggiore, la cui richiesta sarà preferita ai condividenti che ne abbiano fatto domanda congiunta, pur se le quote di questi ultimi, sommate tra loro, superino la quota maggiore del condividente antagonista e tanto in applicazione del principio del favor divisionis di cui all’art. 720 c.c..

Il Giudice può derogare al criterio indicato nell’art. 720 c.c., purché assolva all’obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata. Tale scelta, risolvendosi in un tipico apprezzamento di fatto, è sottratta come tale al sindacato di legittimità. Un caso potrebbe essere quello dell’assegnazione dell’immobile ad un coerede che, pur titolare di una quota minore, abiti nell’ immobile da svariati anni e che non ne possegga altri, in concorrenza con altri coeredi che vivano altrove ed abbiano altri immobili di esclusiva proprietà nel medesimo paese.

L’art. 720 c.c. configura la vendita all’incanto come rimedio residuale cui ricorrere quando nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell’intero.

DiRaffaele Boccia

Le tabelle millesimali non richiedono approvazione all’unanimità

Come più volte precisato dalla Cassazione (sent. 25 gennaio 1990 n. 431; 20 gennaio 1977 n. 298; 3 gennaio 1977 n. 1), la tabella millesimale serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su tali diritti.

Quando i condomini approvano la tabella che ha determinato il valore dei piani o delle porzioni di piano secondo i criteri stabiliti dalla legge, dunque, non fanno altro che riconoscere l’esattezza delle operazioni di calcolo della proporzione tra il valore della quota e quello del fabbricato; in sintesi, la misura delle quote risulta determinata in forza di una precisa disposizione di legge.

Va, dunque, negata la natura di negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni alla deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali. Difatti, caratteristica propria del negozio giuridico è la conformazione della realtà oggettiva alla volontà delle parti: l’atto di approvazione della tabella, invece, fa capo ad una documentazione ricognitiva di tale realtà, priva di connotazioni negoziali.

Le tabelle servono ai fini della ripartizione delle spese e del computo dei quorum costitutivi e deliberativi in sede di assemblea, per cui deve escludersi che una determinazione ad opera dell’assemblea possa incidere sul diritto di proprietà del singolo condomino. Una determinazione che non rispecchiasse il valore effettivo di un piano o di una porzione di piano rispetto all’intero edificio potrebbe risultare pregiudizievole per il condomino, nel senso che potrebbe costringerlo a pagare spese condominiali in misura non proporzionata al valore della parte di immobile di proprietà esclusiva, ma non inciderebbe sul diritto di proprietà come tale. All’“inconveniente” generato dall’errore di calcolo si può porre rimedio, senza limiti di tempo, mediante la revisione della tabella ex art. 69 disp. att. c.c..

Contro la validità della tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali pesano almeno altre due argomenti.

Si consideri, in primis, che un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni richiederebbe la forma scritta, cosa che non è possibile sostenere in relazione alla posizione dei condomini che non hanno partecipato alla delibera di approvazione delle tabelle millesimali, né il loro consenso potrebbe ritenersi manifestato per facta concludentia in base al comportamento dagli stessi tenuto successivamente alla delibera stessa.

Inoltre, non va dimenticato che i contratti vincolano solo le parti ed i loro successori a titolo universale. Il considerare una tabella millesimale vincolante per i condomini solo in virtù del consenso dagli stessi, espressamente o tacitamente manifestato, comporterebbe la inefficacia della tabella stessa nei confronti di eventuali aventi causa a titolo particolare dai condomini, con la conseguenza che ad ogni alienazione di una unità immobiliare dovrebbe far seguito un nuovo atto di approvazione o un nuovo giudizio avente ad oggetto la formazione della tabella.

Una volta negata validità alla tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali, se si tiene presente che tali tabelle, in base all’art. 68 disp. att. c.c., sono allegate al regolamento di condominio, il quale, in base all’art. 1138 c.c., viene approvato dall’assemblea a maggioranza, e che esse non accertano il diritto dei singoli condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ma soltanto il valore di tali unità rispetto all’intero edificio, ai soli fini della gestione del condominio, è logico concludere che tali tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regolamento di condominio.

Alla luce di quanto esposto deve, quindi, affermarsi che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1139 c.c., comma 2.

Cassazione civile , SS.UU., sentenza 09.08.2010 n° 18477

DiRaffaele Boccia

Per i danni causati da cattiva manutenzione del lastrico solare risponde il Condominio

Il lastrico solare dell’edificio soggetto al regime del condominio svolge la funzione di copertura del fabbricato, anche se appartiene in proprieta’ superficiaria o e’ attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini. Pertanto a provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Alle relative spese, nonche’ al risarcimento del danno, essi concorrono secondo le proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c. (ossia per due terzi i condomini ai quali il lastrico serve di copertura e per un terzo il titolare della proprieta’ superficiaria o dell’uso esclusivo).

La relativa azione, pertanto, va proposta nei confronti del condominio, in persona dell’amministratore – quale rappresentante di tutti i condomini obbligati – e non già del proprietario o titolare dell’uso esclusivo del lastrico, il quale puo’ essere chiamato in giudizio a titolo personale soltanto ove frapponga impedimenti all’esecuzione dei lavori di manutenzione o ripristino, deliberata dagli altri obbligati, e al solo fine di sentirsi inibire comportamenti ostruzionistici od ordinare comportamenti di indispensabile cooperazione, non anche al fine di sentirsi dichiarare tenuto all’esecuzione diretta dei lavori medesimi.

Ne consegue che solo quando il danno alle proprietà sottostanti origina da difetto di conservazione o manutenzione non imputabile al solo proprietario del lastrico o a chi ne abbia il godimento la legittimazione compete al condominio e non a detto proprietario.

Cassazione Civile, Sezione III, 4 gennaio 2010 n. 20

DiRaffaele Boccia

Equitalia e la dichiarazione stragiudiziale del terzo (art.75-bis DPR 602/73)

Può capitare di vedersi recapitare una comunicazione da parte dell’Equitalia (Agente di riscossione) contenente l’invito ad indicare per iscritto, ove possibile in modo dettagliato, le somme o le cose dovute ad altro soggetto di cui il destinatario della missiva risulti debitore.

Tale comunicazione costituisce l’avvio della procedura di pignoramento presso terzi prevista dagli articoli 72 bis e 75 bis del DPR n. 602/1973.

La risposta all’invito, per cui è concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal ricevimento, costituisce un preciso onere, in quanto, in caso di inadempimento, è prevista la sanzione di cui all’articolo 10 del D.lgs n. 471 del 1997 (violazione degli obblighi degli operatori finanziari in materia di sanzioni tributarie non penali, sanzione pecuniaria compresa tra un minimo di 2.065,83 ad un massimo di euro 20.658,27).

Questa procedura speciale consente alla PA di recuperare un credito vantato da un soggetto iscritto a ruolo pignorandone il credito da un debitore di questi attraverso un iter più veloce del procedimento di pignoramento presso terzi previsto dal codice di procedura civile, e, quindi, senza necessariamente ricorrere ad una pronuncia giudiziale.

Infatti, ricevuta la risposta positiva del terzo debitore (cosiddetta dichiarazione stragiudiziale del terzo), l’Agente può scegliere di procedere – secondo il rito speciale oppure ordinario, quindi rispettivamente in forza degli artt. 72 e 72 bis, D.P.R. 602/1973 ovvero dell’art. 543 e segg. c.p.c. – all’espropriazione mobiliare presso terzi ed anche simultaneamente all’adozione delle azioni esecutive e cautelari previste dall’art. 75 bis, D.P.R. 602/1973.

Nel caso ricorra alla procedura di cui all’art.72 bis, l’Agente notifica al debitore un atto di pignoramento contenente l’ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede:

a) nel termine di quindici giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento, per le somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla data di tale notifica;

b) alle rispettive scadenze, per le restanti somme.

L’atto di pignoramento può essere redatto anche da dipendenti dell’agente della riscossione procedente non abilitati all’esercizio delle funzioni di ufficiale della riscossione e, in tal caso, reca l’indicazione a stampa dello stesso agente della riscossione.

Nel caso di inottemperanza all’ordine di pagamento, l’Agente procederà, in conformità delle norme del codice di procedura civile, ad accertare la sussistenza del debito del terzo nei confronti del contribuente debitore, citandoli entrambi

Si evidenzia, infine, che l’Agente della riscossione può avanzare la richiesta di dichiarazione stragiudiziale del terzo qualsiasi sia l’importo dovuto.

DiRaffaele Boccia

Il singolo condomino ha facoltà di intervenire nella causa iniziata contro il Condominio

 

In tema di condominio negli edifici, posto che il condominio stesso si configura come ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale, con la conseguenza che l’intervento dei condomini in una causa iniziata dall’amministratore realizza un’ipotesi di intervento della parte, che è ammissibile anche quando l’azione sia stata (in ipotesi) irregolarmente proposta per difetto di legittimazione dell’amministratore, trattandosi in tal caso di sostituzione del legittimato al non legittimato.

E’ quanto ribadito da Cassazione civile , sez. II, 26 marzo 2010, n. 7300.

In effetti, il condomino, nell’ambito dei diritti che gli derivano dall’essere titolare di una quota della proprietà necessariamente indivisa, non può essere privato della propria legittimazione personale, sia attiva che passiva. Ciò risulta tanto più rilevante in tutti quei casi in cui, per inerzia dell’amministratore o dell’assemblea ovvero per necessità di promuovere un’azione d’urgenza, i diritti del Condominio potrebbero risultare non idoneamente tutelati. In questi casi, il singolo condomino potrà agire a tutela della cosa comune.

Dal punto di vista processuale, egli potrà anche intervenire nel giudizio già iniziato dall’amministratore ed eventualmente avvalersi dei mezzi di impugnazione onde evitare effetti pregiudizievoli di pronunce giudiziali contrarie al Condominio.