Anche la nonna acquisita ha diritto di vedere i nipoti

DiRaffaele Boccia

Anche la nonna acquisita ha diritto di vedere i nipoti

Così si è pronunciata la I sezione civile della Cassazione con l’ordinanza  7 giugno – 25 luglio 2018, n. 19780, con un interessante excursus nella normativa nazionale e in quella comunitaria.

Nel negare il diritto di visita dei nonni, erroneamente la Corte d’appello faceva leva esclusivamente sulla lettera della norma, che recita: «Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni». E siccome la ricorrente, seconda moglie del nonno, non è la nonna biologica delle due gemelline, ne ha tratto la conseguenza che la medesima, in quanto non legata alle stesse da una rapporto di parentela, non sarebbe titolare, sul piano sostanziale, del diritto previsto dall’art. 317 bis cod. civ., e – di conseguenza – non sarebbe legittimata, sul piano processuale, ad azionarlo in giudizio.
Tale assunto non può essere condiviso, dovendo la norma succitata essere interpretata sistematicamente, alla luce delle disposizioni costituzionali (artt. 2 e 30 Cost.), Europee (art. 24 della Carta di Nizza) ed internazionali (art. 8 della CEDU), che formano il nuovo quadro normativo di riferimento multilivello (art. 117 Cost.), dal quale non si può prescindere nell’interpretazione della legge ordinaria nazionale.
Con specifico riferimento alla posizione dei nonni, la Corte Europea ha affermato che l’articolo 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri. Esso non si limita, peraltro, ad imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze, giacché a tale impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Questi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare nelle relazioni degli individui tra loro, tra cui la predisposizione di un «arsenale giuridico» adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle misure specifiche appropriate.

Questo «arsenale» deve permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire il genitore e il figlio, anche in caso di conflitto che oppone i due genitori, e lo stesso vale quando si tratta, come nel caso di specie, delle relazioni tra il minore e i nonni, dovendo lo Stato attivarsi per favorire la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate, tenendo conto – in particolare – degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti allo stesso dall’articolo 8 della Convenzione» (Corte EDU, 20/01/2015, Manuello e Nevi c. Italia; Corte EDU, 07/12/2017, Beccarini e Ridolfi c. Italia).
Da ultimo, la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha affermato che la nozione di «diritto di visita», contenuta all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), nonché all’articolo 2, punti 7 e 10, del Regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale), deve essere interpretata nel senso che essa comprende anche il diritto di visita dei nonni nei confronti dei loro nipoti minorenni. Sulla scorta del documento di lavoro della Commissione relativo al riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale (COM 2001 166 definitivo), in data 27 marzo 2001, la Corte ha, per vero, osservato che il progetto del Consiglio d’Europa di convenzione sulle relazioni personali riguardanti i minori, riconosce il diritto per questi ultimi di intrattenere relazioni personali non soltanto con i loro genitori, ma anche con altre persone aventi legami familiari con loro, come i nonni. In definitiva, il legislatore dell’Unione ha scelto l’opzione secondo cui nessuna disposizione deve restringere il numero di persone possibili titolari della responsabilità genitoriale o di un diritto di visita, sempre che sia importante che il minore intrattenga relazioni personali con tali persone, dovendo comunque privilegiarsi «l’interesse superiore del minore» medesimo (Corte Giustizia, 31/05/2018, Valcheva c. Babanarakis).
Se, dunque, la giurisprudenza Europea succitata ha evidenziato la necessità di ampliare il più possibile i contatti del minore con persone appartenenti al suo nucleo familiare allargato, nella misura in cui tali relazioni si traducono in un beneficio per l’equilibrio psico-fisico del medesimo, è la nozione stessa di nucleo familiare ad essere stata rivisitata ed ampliata dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Giustizio della U.E.
Si è, invero, affermato – al riguardo – che la questione dell’esistenza o dell’assenza di una vita familiare è essenzialmente una «questione di fatto», che dipende dalla sussistenza di legami personali stretti tra i soggetti che appartengono ad un certo nucleo familiare (Corte EDU, 13/06/1979, Marckx c. Belgio). Il concetto di «famiglia» di cui all’articolo 8 della Convenzione riguarda, infatti, le relazioni basate sul matrimonio ed anche altri legami familiari «de facto», in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio, o in cui altri fattori dimostrano che la relazione è sufficientemente stabile (Corte EDU, 24/01/2017 Grande Camera, Paradiso e Campanelli c. Italia; Corte EDU, 27/10/1994, Kroon e altri c. Paesi Bassi; Corte EDU, 18/12/1986, Johnston e altri c. Irlanda).
Nello stesso senso si è pronunciata, da ultimo, la Corte di Giustizia, con riferimento al caso di un cittadino dell’Unione che aveva esercitato la sua libertà di circolazione, recandosi e soggiornando in modo effettivo, conformemente alle condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, in uno Stato membro diverso da quello di cui aveva la cittadinanza, e in tale occasione aveva «sviluppato o consolidato una vita familiare» con un cittadino di uno Stato terzo dello stesso sesso, al quale si era, poi, unito con un matrimonio legalmente contratto nello Stato membro ospitante.
La Corte ha affermato – in proposito – che, a norma l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE le autorità competenti dello Stato membro di cui il cittadino dell’Unione aveva la cittadinanza non potevano rifiutarsi di concedere un diritto di soggiorno sul territorio di detto Stato membro al suddetto cittadino di uno Stato terzo (dapprima compagno, poi, coniuge del primo), per il fatto che l’ordinamento di tale Stato membro non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso, dovendo lo Stato destinatario della richiesta riconoscere comunque la stabile relazione affettiva venuta a crearsi tra il suo cittadino e l’altro soggetto, e non ostacolare il diritto di quest’ultimo di esercitare il diritto, sancito dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (Corte Giustizia, 05/06/2018, Coman e Hamilton).

L’accezione più ampia, attribuita dalla giurisprudenza Europea al concetto di «famiglia», si ripercuote – com’è ovvio, stante la preminenza dell’interesse dei minori, sancita a livello internazionale – soprattutto sul rapporto dei genitori con i figli, in relazione al quale la Corte EDU non opera, tuttavia, alcuna distinzione tra legami di sangue e rapporti «sociali», purché connotati da una stabile relazione affettiva tra l’adulto ed il minore.
Nonostante l’assenza di un legame biologico e di un legame di filiazione giuridicamente riconosciuto dallo Stato convenuto, la Corte Europea ha, invero, ritenuto che possa esistere un vita familiare tra genitori affidatari che si siano presi cura di un minore per un certo periodo di tempo ed il minore in questione, sulla base degli stretti legami personali tra loro, del ruolo rivestito dagli adulti nei confronti del figlio e del tempo trascorso insieme (Corte EDU, 27/04/2010, Moretti e Benedetti c. Italia; Corte EDU, 17/01/2012, Kopf e Liberda c. Austria; Corte EDU, 24/01/2017, cit).
Nella medesima prospettiva – di allargamento del concetto di famiglia nell’accezione di cui all’art. 8 CEDU e di tutela preminente dell’interesse dei minori, in conformità all’art. 24 della Carta di Nizza, secondo cui tutti gli atti relativi ai minori debbono privilegiare l’interesse preminente dei medesimi – si è, peraltro, sostanzialmente posta anche la giurisprudenza di questa Corte.
Si è, invero affermato che, in tema di adozione in casi particolari, l’art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 183 del 1984, integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante il concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti (non familiari) che se ne prendono cura; con l’unica previsione della «condicio legis» della «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» (Cass., 22/06/2016, n. 12962; nello stesso senso, Cass., 20/06/2017, n. 15202, in cui si fa riferimento «all’esistenza di un nucleo familiare di fatto che vede la minore accudita in modo esemplare dalla madre biologica e dall’adottante (compagna della madre) alla quale la minore riconosce ruolo genitoriale»).
Tra l’altro, nel caso di specie, la stessa Corte d’appello ha più volte operato – come esattamente dedotto dai ricorrenti – riferimenti del tutto significativi al fatto che le minori avessero una frequentazione abituale con entrambi i nonni. Il decreto menziona, invero, il fatto che le bambine trascorrevano del tempo «dai nonni», nella cui abitazione vi è perfino una stanza destinata alle nipoti, piena di giochi, e che nella casa degli stessi vi sono diverse «foto raffiguranti i nonni con le nipoti» (p. 5). La Corte ha fatto, inoltre, riferimento anche alla disponibilità dei genitori – sia pure con le modalità da essi imposte, ossia esclusivamente in loro presenza – «a far vedere le bambine ai nonni» (p. 6), atteggiamento certamente significativo di un riconoscimento dell’esistenza di un interesse affettivo reciproco tra la coppia di anziani e le due bambine.
Il giudice di seconde cure ha affermato, infine, che «non sono state dedotte né sono emerse ragioni specifiche indicative della necessità che il nonno e la moglie non abbiano contatti con le minori, se non la conflittualità esistente tra padre e figlio» (p. 6), ed ha stabilito che il nonno possa incontrare le nipoti e «tenerle con sé, nel suo nucleo familiare[…]» (p. 7), ma non ne ha tratto la logica conseguenza che fosse necessario preservare tale nucleo familiare consentendo anche alla moglie del nonno – ancorché non sia una «nonna biologica» delle bambine – di agire in giudizio per ottenere il riconoscimento del suo diritto a mantenere rapporti significativi con le nipoti.

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Info sull'autore

Raffaele Boccia administrator

Avvocato civilista, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Nola, mediatore professionista ex D. Lgs. 28/2010