Va condannato chi abusa del processo (art.96 c.p.c.)

DiRaffaele Boccia

Va condannato chi abusa del processo (art.96 c.p.c.)

Riprendiamo qui un argomento, già affrontato sotto diverso profilo in un altro articolo, sul tema dell’utilizzo del processo a fini dilatori.

L’abuso del processo causa un danno indiretto all’erario (per l’allungamento del tempo generale nella trattazione dei processi e, di conseguenza, l’insorgenza dell’obbligo al versamento dell’indennizzo ex lege 89/2001) e un danno diretto al litigante (per il ritardo nell’accertamento della verità) e va dunque contrastato (v. Trib. Varese, sez. Luino, ord. 23 gennaio 2010 in Foro Italiano, 2010, 7–8, I, 2229).

In tale contesto, si comprende perché il Legislatore del 2009 (legge n. 69) abbia introdotto un danno tipicamente punitivo nell’art. 96 comma III c.p.c. al fine di scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia (v. Trib. di Piacenza, sez. civ., sentenza 22 novembre 2010, est. Morlini in Guida al dir., 2011, 3).

Infatti, la norma introdotta dalla Legge 18 giugno 2009 n. 69 nel terzo comma dell’art. 96 c.p.c. non ha natura meramente risarcitoria ma “sanzionatoria” (Tribunale di Piacenza, sez. civile, sentenza 7 dicembre 2010, est. Coderoni) come la prevalente giurisprudenza di merito ha ritenuto (v. anche Trib. Verona, ord. 1 ottobre 2010; Trib. Verona, ord. 1 luglio 2010; Trib. Verona, sez. III civ.,  sentenza 20 settembre 2010) là dove ha statuito che essa introduce nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo (Tribunale di Roma, sez. XI civile, sentenza 11 gennaio 2010 in Giur. Merico, 2010, 9) e preservare la funzionalità del sistema Giustizia (in questi termini, Trib. Prato 6 novembre 2009, Trib. Milano 29 agosto 2009), traducendosi, dunque, in “una sanzione d’ufficio” (Tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia, sentenza 9 dicembre 2010).

Come hanno rilevato in tempi recenti le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza del 16 luglio 2008 n. 19499, in Responsabilità civile e previdenza, 2009, 9, 1862), nell’attuale realtà storico-sociale, le istituzioni del Paese annoverano “le inefficienze e le lunghezze del sistema giudiziario civile tra le cause del rallentamento dello sviluppo economico dell’Italia”; in particolare, il Supremo Giudice afferma che “tutte le istituzioni del Paese da tempo annoverino la inappagante funzionalità della giustizia civile (la quale dipende soprattutto dai lunghi tempi di definizione, a sua volta correlati alla variabile niente affatto indipendente del numero delle cause promosse) fra le ragioni di uno sviluppo economico inferiore a quello possibile, segnatamente sotto il profilo dell’abbassamento della propensione agli investimenti”. E’ dunque certo che le liti temerarie contribuiscono ad un danno all’intera collettività, poiché il carico del lavoro giudiziario rallenta inevitabilmente la trattazione di tutti i procedimenti sul Ruolo con riflessi negativi di impatto elevatissimo (si pensi ai costi ingenti che lo Stato versa per i ritardi ex lege 89/2001).

Il Tribunale di Milano, in tal senso, ha ritenuto che la ratio della nuova disposizione di cui all’art. 96, 3° comma c.p.c. può essere individuata nello scoraggiare comportamenti strumentali alla funzionalità del servizio giustizia e in genere al rispetto della legalità (Tribunale di Milano, ordinanza 20 agosto 2009 in www.judicium.it ).

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Info sull'autore

Raffaele Boccia administrator

Avvocato civilista, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Nola, mediatore professionista ex D. Lgs. 28/2010

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