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DiRaffaele Boccia

L’ordinanza di assegnazione somme in caso di omessa o contestata dichiarazione del terzo

L’art. 548 c.p.c. – nella formulazione introdotta con il D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Istituzione del giudice unico di primo grado) – prevedeva che se il terzo pignorato non compariva all’udienza stabilita ai sensi dell’art. 543 c.p.c. o, comparendo, rifiutava di fare la dichiarazione, o se intorno alla stessa sorgevano contestazioni, il giudice, su istanza di parte, provvedeva all’istruzione della causa a norma del libro secondo del codice di rito. Tale previsione, peraltro, differiva da quella del ‘42 solo per l’eliminazione del riferimento all’ufficio del pretore, soppresso con il citato D.Lgs. n. 51 del 1998, e, di conseguenza, alla necessità di assegnare un termine perentorio per riassumere il giudizio davanti al tribunale, nel caso in cui la causa eccedesse i limiti della competenza pretorile.
Dunque, originariamente la legge non distingueva fra il caso dell’omessa dichiarazione e quello della dichiarazione reticente o comunque di contenuto contestato. In tutte le ipotesi, il creditore che voleva ottenere una pronuncia sull’esistenza e sulla consistenza del credito che egli aveva inteso pignorare, era tenuto ad introdurre il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato. Tale giudizio che si svolgeva ai sensi del libro secondo del codice di procedura civile, ossia nelle forme del giudizio ordinario di cognizione, con il conseguente regime di acquisizione della prova e i relativi strumenti impugnatori. L’unica agevolazione di cui godeva colui che introduceva il giudizio di accertamento era costituita dalla circostanza che la condotta del terzo che, avendo omesso di rendere la dichiarazione innanzi al giudice dell’esecuzione, non l’avesse resa neppure nel corso del primo grado, poteva essere equiparata alla mancata risposta nel caso di interrogatorio formale (art. 548c.p.c., comma 2).

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DiRaffaele Boccia

Competente il giudice del domicilio del creditore solo se l’ammontare del credito risulta dal titolo

Le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 13/09/2016 n.17989) sono state chiamate a dirimere il contrasto di giurisprudenza in relazione al concetto di obbligazione pecuniaria rilevante ai sensi dell’art. 1182 c.p.c., comma 3, e sussistente tra:

  1. un primo orientamento (per il quale l’ordinanza menziona Cass. 22326/2007) secondo cui, ove la somma di danaro oggetto dell’obbligazione debba essere ancora determinata dalle parti o, in loro sostituzione, liquidata dal giudice mediante indagini ed operazioni diverse dal semplice calcolo aritmetico, trova applicazione l’art. 1182, comma 4, secondo cui l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza;
  2. un secondo orientamento (al quale vengono ricondotte Cass. 7674/2005, 12455/2010, 10837/2011, richiamate nel ricorso per regolamento e nella requisitoria scritta del P.M.) secondo cui il forum destinatae solutionis previsto dall’art. 1182, comma 3, è applicabile in tutte le cause aventi ad oggetto una somma di denaro qualora l’attore abbia richiesto il pagamento di una somma determinata, non incidendo sulla individuazione della competenza territoriale la maggiore o minore complessità dell’indagine sull’ammontare effettivo del credito, che attiene esclusivamente alla successiva fase di merito.

L’ordinanza evidenzia che, secondo quest’ultimo orientamento, è irrilevante che la prestazione richiesta non sia convenzionalmente prestabilita, essendo sufficiente che l’attore abbia agito per il pagamento di una somma da lui puntualmente indicata.

Soggiunge che il contrasto ha talora trovato “una via di fuga” nel rilievo che ai fini della competenza occorre avere riguardo ai fatti per come prospettati dall’attore, prescindendo dalla fondatezza delle contestazioni sollevate del convenuto o comunque concernenti il merito della causa.

Può osservarsi anzitutto che il contrasto non riguarda la necessità del requisito della liquidità affinchè un’obbligazione pecuniaria debba essere adempiuta al domicilio del creditore (requisito in realtà non espressamente previsto dalla legge, tanto che in dottrina non è mancato chi ne ha ritenuto la natura puramente pretoria); riguarda piuttosto il modo di intendere tale requisito.

In effetti nella giurisprudenza di legittimità non è stato mai messo in discussione che obbligazioni pecuniarie “portabili”, ai sensi dell’art. 1182 c.c., comma 3, sono soltanto quelle liquide, essendo assolutamente consolidato il principio che detta disposizione si riferisce alle sole obbligazioni pecuniarie derivanti da titolo convenzionale o giudiziale che ne abbia stabilito la misura, trovando altrimenti applicazione la regola di cui al quarto comma, per la quale la prestazione va eseguita al domicilio del debitore (i precedenti sono numerosissimi, ci si limita a segnalarne alcuni: Cass. 391/1966, 3422/1972, 2591/1997, 21000/2011), precisandosi che la liquidità sussiste anche nel caso in cui l’ammontare del credito può essere determinato con un semplice calcolo aritmetico e senza indagini od operazioni ulteriori (a Cass. 22326/2007, già richiamata nell’ordinanza di rimessione, si aggiungano, tra le altre, Cass. 3422/1971, 3538/1995, 3808/1999, 4511/2001, 10226/2001, 7021/2002, 9092/2004, 22306/2007) in base a quanto risulta dal titolo.

Si è altresì precisato che sulla determinazione del forum destinatae solutionis a norma dell’art. 1182 c.c., comma 3, e art. 20 c.p.c., seconda parte, non può influire l’eccezione del convenuto che neghi l’esistenza dell’obbligazione, perchè il principio stabilito dall’art. 10 c.p.c., per la determinazione della competenza per valore – secondo il quale il collegamento tra il giudice e la controversia è determinato in base alla domanda – è una regola di portata generale e quindi applicabile anche ai criteri stabiliti per determinare la competenza territoriale per le cause relative a diritti di obbligazione, ai sensi dell’art. 20 c.p.c., sui quali perciò non influisce la fondatezza o meno della domanda (Cass. 789/1998, 1877/1999, 8121/2003, 20177/2004, 8359/2005, 11400/2006); mentre l’unico limite alla rilevanza dei fatti allegati dall’attore ai fini della determinazione della competenza è l’eventuale prospettazione artificiosa, finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge (Cass. 10226/2001, 8189/2012).

Anche queste Sezioni Unite, allorchè sono state chiamate a pronunciarsi sull’applicabilità del terzo ovvero del quarto comma dell’art. 1182 c.c., al fine di individuare il forum destinatae solutionis quale criterio speciale di competenza giurisdizionale in materia contrattuale, a norma dell’art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 e dell’art. 5, n. 1, del Regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, hanno confermato la necessità del requisito della liquidità delle obbligazioni pecuniarie (v. sentenze 9214/1987, 5899/1997), nonchè l’indifferenza delle contestazioni del convenuto circa la sussistenza dell’obbligazione dedotta in giudizio dall’attore, poichè anche la giurisdizione nei confronti dello straniero deve essere riscontrata in base alla domanda, indipendentemente da ogni questione circa il suo fondamento nel merito, non operando tale principio solo nel caso in cui la prospettazione della domanda sia artificiosamente finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge (ordinanza 6217/2006, sentenza 13900/2013).

Proprio la necessità di fare riferimento alla domanda, secondo la regola dettata dall’art. 10 c.p.c., è alla base dell’orientamento, richiamato dalla ricorrente e dal P.M., che considera sufficiente a integrare il requisito della liquidità dell’obbligazione, al fine di rendere quest’ultima “portabile” ai sensi dell’art. 1182 c.c., comma 3, la quantificazione della propria pretesa da parte dell’attore.

Si legge in Cass. 7674/2005, che ha introdotto tale orientamento, cui si sono poi uniformare Cass. 12455/2010 e 10837/2011, citt.: “Occorre ricordare che, a norma dell’art. 10 c.p.c., il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda, e, più precisamente, per l’art. 14 comma 1, nelle cause relative a somme di danaro (…) il valore si determina in base alla somma indicata (…) dall’attore. Per esigenze di armonia ed omogeneità del sistema, la stessa regola deve valere, nei limiti del possibile, anche ai fini della competenza per territorio, nel senso che anche per questa dovrà tenersi conto non dell’effettiva realtà sostanziale sottostante alla domanda, ma del tenore di quest’ultima, indipendentemente dal suo maggiore o minore fondamento. E pertanto, nelle obbligazioni, come quella dedotta in giudizio, aventi ad oggetto una somma di denaro determinata, n’entrano nella previsione dell’art. 1182 c.c., comma 3, quelle che siano come tali indicate dall’attore, mentre il diverso e successivo problema della effettiva sussistenza di esse attiene al merito (vedansi, sul punto, Cass. 27 gennaio 1998 n. 789; 5 marzo 1999 n. 1877). Nella specie il giudice a quo (…) avrebbe dovuto pertanto rivolgere la propria attenzione al contenuto dell’atto di citazione, e, poichè esso indicava, quale credito dell’attrice, una specifica somma di denaro asseritamente dovuta per effetto del rapporto contrattuale tra le parti (…), avrebbe dovuto riconoscere che trattavasi di una somma di ammontare già determinato e trarne le debite conseguenze in termini di competenza”. Con il che la mera quantificazione della pretesa da parte dell’attore fa premio sull’intrinseca liquidità della stessa, la prospettazione della domanda nel processo prevale sulle caratteristiche sostanziali del diritto azionato.

Ritengono queste Sezioni Unite che il contrasto così determinatosi rispetto all’orientamento, in precedenza costante, che richiedeva la effettiva liquidità dell’obbligazione, in base al titolo, ai fini della qualificazione dell’obbligazione stessa come portabile, per gli effetti di cui al combinato disposto dell’art. 1182 c.c., comma 3, e art. 20 c.p.c., vada risolto confermando l’orientamento tradizionale.

4.1. – Tra le obbligazioni pecuniarie, invero, quelle illiquide hanno una particolarità: ai fini dell’adempimento del debitore è necessario un passaggio ulteriore, è necessario cioè un ulteriore titolo, convenzionale o giudiziale.

Questa particolarità non è indifferente rispetto alla disciplina di tale categoria di obbligazioni.

Si consideri che la nozione di obbligazione portabile, di cui all’art. 1182 c.c., comma 3, rileva non soltanto ai fini dell’individuazione del forum destinatae soluzionis contemplato dall’art. 20 c.p.c., seconda parte, ma anche ai fini del prodursi della mora ex re ai sensi dell’art. 1219 c.c., comma 2, n. 3, che esclude la necessità della costituzione in mora “quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore”, come appunto stabilito per le obbligazioni pecuniarie dall’art. 1182, comma 3, cit..

La giurisprudenza di questa Corte nega che la mora ex re si verifichi anche per le obbligazioni pecuniarie illiquide (Cass. 535/1999, 9092/2004). Se tra le obbligazioni pecuniarie “portabili” contemplate da tale disposizione rientrassero quelle illiquide, la mora – e con essa la responsabilità ai sensi dell’art. 1224 c.c. – scatterebbe automaticamente anche a carico del debitore la cui prestazione non sia in concreto possibile perchè l’ammontare della sua prestazione è ancora incerto: il che sarebbe ingiustificato, nonchè contrario al sistema, il quale esclude la responsabilità del debitore la cui prestazione sia impossibile per causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). L’interpretazione restrittiva della nozione di obbligazione portabile è inoltre coerente anche con il favor debitoris che ispira la regola generale di cui all’art. 1182, comma 2, n. 4 cit..

Le indicate esigenze di protezione del debitore, che sono a fondamento dell’interpretazione restrittiva dell’art. 1182 c.c., comma 3, richiedono evidentemente che la liquidità del credito sia ancorata a dati oggettivi, mentre sarebbero frustrate se essa si facesse coincidere con la pura e semplice precisazione, da parte dell’attore, della somma di denaro dedotta in giudizio, pur in mancanza di indicazioni nel titolo, come sostenuto da Cass. 7674/2005, cit., e dagli altri precedenti che vi si richiamano discostandosi dall’orientamento tradizionale. In tal modo, infatti, non il dato oggettivo della liquidità del credito radicherebbe la controversia presso il forum creditoris, bensì il mero arbitrio del creditore stesso, il quale scelga di indicare una determinata somma come oggetto della sua domanda giudiziale, con conseguente lesione anche del principio costituzionale del giudice naturale.

Va dunque ribadito che rientrano nella previsione di cui all’art. 1182 c.c., comma 3, esclusivamente le obbligazioni pecuniarie liquide, il cui ammontare, cioè, sia determinato direttamente dal titolo ovvero possa essere determinato in base ad esso con un semplice calcolo aritmetico.

4.2. – Peraltro il riferimento di alcuni precedenti di legittimità (sopra richiamati al capoverso del p.3) alla non necessità di indagini ulteriori ai fini della liquidazione del credito, quale requisito di liquidità dello stesso, ha determinato il prodursi di qualche equivoco, di cui vi è traccia nella requisitoria scritta del P.M. davanti alla Sesta Sezione, nella quale non a caso viene sottolineata l’irrilevanza, ai fini della determinazione della competenza territoriale ai sensi dell’art. 20 c.p.c., ultima parte, della “maggiore o minore complessità dell’indagine sull’ammontare effettivo del credito, la quale attiene esclusivamente alla successiva fase di merito”.

Si impone, pertanto, una puntualizzazione.

Liquidità, come si è visto, significa che la somma dovuta risulta dal titolo e dunque non è necessario, per determinarla, un ulteriore titolo negoziale o giudiziale. L’ammontare della somma dovuta potrà risultare direttamente dal titolo originario, che la precisi, oppure solo indirettamente dallo stesso, allorchè questo indichi il criterio o i criteri applicando i quali tale somma va determinata (cfr. Cass. 19958/2005). Deve trattarsi, però, di criteri stringenti, tali, cioè, che la somma risultante dalla loro applicazione sia necessariamente una ed una soltanto: questo è ciò che si intende affermare, nella giurisprudenza di questa Corte, allorchè si ammette una liquidità scaturente da semplici operazioni aritmetiche. Se, infatti, il risultato dell’applicazione dei predetti criteri non fosse obbligato, residuando un margine di scelta discrezionale, il credito non potrebbe dirsi liquido, perchè quel margine di discrezionalità non potrebbe essere superato se non mediante un ulteriore titolo (convenzionale o giudiziale).

Dovendo, inoltre, la liquidità del credito essere effettiva, il principio che la competenza va determinata in base alla domanda non può essere esteso sino al punto di consentire all’attore di dare dei fatti una qualificazione giuridica diversa da quella prevista dalla legge, o di allegare fatti (ad esempio un contratto che indichi l’ammontare del credito) privi di riscontro probatorio. Resta fermo, ovviamente, che tali fatti sono accertati dal giudice, ai soli fini della competenza, allo stato degli atti secondo la regola di cui all’art. 38 c.p.c., u.c..

4.3. – Può in conclusione enunciarsi il seguente principio di diritto: “Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell’art. 1182 c.c., comma 3, sono – agli effetti sia della mora ex re ai sensi dell’art. 1219 c.c., comma 2, n. 3, sia della determinazione del forum destinatae solutionis ai sensi dell’art. 20 c.p.c., ultima parte, – esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioè, il titolo determini l’ammontare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale, e i presupposti della liquidità sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti secondo quanto dispone l’art. 38 c.p.c., u.c. “.

DiRaffaele Boccia

Crediti erariali contro il fallito: non è richiesta la notifica della cartella al Curatore

cartella di pagamentoCon l’ordinanza 19 novembre 2015 – 15 gennaio 2016, n. 655 la Corte di Cassazione ritorna sulle modalità di insinuazione al passivo dei crediti erariali nei confronti della società dichiarata fallita.

Come già precedentemente affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. n. 5063108, Cass. ord. nn. 120191011, 38761015, 46311015,), i crediti iscritti a ruolo ed azionati da società concessionarie per la riscossione seguono, nel caso di avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore, l’iter procedurale prescritto per gli altri crediti concorsuali dagli artt. 92 e ss. I. fall., legittimandosi la domanda di ammissione al passivo, se del caso con riserva (ove vi siano contestazioni), sulla base del solo ruolo, senza che occorra la previa notifica della cartella esattoriale al curatore.

L’assunto secondo cui, in difetto di notificazione della cartella, resterebbe precluso al curatore di contestare la sussistenza del credito dinanzi al giudice tributario, così che il credito possa essere ammesso con riserva, trova smentita nel mero rilievo che l’organo del fallimento è pienamente edotto della pretesa erariale con la comunicazione del ruolo contenuta nella domanda di ammissione e che, ai sensi dell’art. 19 dei d. Igs. n. 465192, ha da quel momento la possibilità di opporsi a detta pretesa impugnando il ruolo dinanzi alle competenti Commissioni Tributarie, senza alcuna necessità che gli venga previamente intimato il pagamento.

DiRaffaele Boccia

Cessione di quote nella s.n.c.: il socio risponde fino alla registrazione

esecuzioniLa Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 30 ottobre 2013, n. 24490, ha ribadito un principio ormai consolidato in Giurisprudenza.

Il caso investiva le sorti di una persona che aveva subito un’esecuzione forzata su beni personali per debiti di una società in nome collettivo.

Il creditore, dopo aver preventivamente (e vanamente) escusso il patrimonio sociale, aveva rivolto l’azione esecutiva nei confronti di un socio il quale, proponendo opposizione, eccepiva di non essere legittimato passivo in quanto non più socio al momento dell’instaurazione del procedimento esecutivo, come emergeva dalla pubblicità in Camera di Commercio.

Orbene, con la sentenza in esame la Corte ha ancora una volta confermato Leggi tutto

DiRaffaele Boccia

Come iscrivere ipoteca su un veicolo

multa stradaL’art. 2818 c.c. prevede che l’ipoteca giudiziale possa essere iscritta in base ad una sentenza che preveda la condanna al pagamento di una somma di denaro o all’adempimento di un’obbligazione o al risarcimento dei danni a carico di un soggetto (debitore).
Perché una sentenza possa costituire titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale è quindi necessario che sia una sentenza di condanna non essendo, ad esempio, sufficiente una sentenza di semplice accertamento di un diritto o meramente costitutiva.
Non è necessario al fine dell’iscrizione dell’ipoteca che la sentenza sia passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva.

Costituiscono titolo per iscrivere ipoteca anche:

– il decreto ingiuntivo (art. 655 c.p.c.) e l’ordinanza di pagamento Leggi tutto