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DiRaffaele Boccia

Condominio: gravano sul venditore le spese per lavori straordinari deliberati prima del trasferimento

In caso di vendita di un’unità immobiliare sita in edificio condominiale nel quale, antecedentemente alla stipulazione dell’atto di trasferimento, siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione o di ristrutturazione od innovazioni concernenti le parti comuni, nei rapporti interni tra alienante ed acquirente l’obbligo di sopportare i relativi costi grava, in mancanza di accordo tra le parti, sul venditore, a nulla rilevando che le opere anzidette siano state eseguite, in tutto o in parte, successivamente alla conclusione del contratto di vendita, sicché l’acquirente ha diritto di rivalersi nei confronti del proprio dante causa per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 disp. att. c.c..

La Suprema Corte precisa che per le opere di manutenzione straordinaria e per le innovazioni, le quali debbono essere preventivamente determinate dall’assemblea nella loro quantità e qualità e nell’importo degli oneri che ne conseguono, la delibera condominiale che dispone l’esecuzione degli interventi assume valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino.

In tal caso, l’obbligo di contribuire alle spese discende, non dall’esercizio della funzione amministrativa rimessa all’amministratore nel quadro delle appostazioni di somme contenute nel bilancio preventivo, ma, direttamente, dalla delibera delllassemblea.

Ciò si ricava da una pluralità di indici normativi:

dall’art. 1104 cod. civ., dettato in materia di comunione ordinaria tale disposizione – imponendo a ciascun partecipante di contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranzaa – fa discendere, in taluni casi (allorchè la spesa importi innovazioni o sia determinata da esigenze di miglior godimento), l’obbligo di contribuzione da una volontà collegiale;

dall’art. 1121 c.c., comma 2, che consente innovazioni gravose o voluttuarie insuscettibili di utilizzazione separata quando se ne assumano la spesa i condomini che, costituendo maggioranza, hanno voluto o accettato l’innovazione: in tal caso, appunto, dovrà sobbarcarsene la spesa “la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata”, mentre ne sarà esente colui che non ne ha deliberato (e quindi voluto) la realizzazione;

dall’art. 1123 cod. civ., il quale, nel disciplinare la misura del contributo dei condomini, prevede, accanto alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio e per la prestazione dei servizi nell’interesse comune, quelle per le innovazioni deliberate dalla maggioranza.

Cassazione civile sez. II, 03 dicembre 2010 n. 24654

DiRaffaele Boccia

Eliminazione di barriere architettoniche nel condominio: limiti e casistica

In tema di condominio, la regola generale impone che deliberazioni relative ad innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni vengano adottate con la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio (art.1120, comma 1 c.c. che richiama il quinto comma dell’art.1136).

Quando, invece, le innovazioni sono dirette a favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche, esse possono essere approvate con maggioranze ridotte rispetto a quelle cui rinvia l’art.1120, comma 1 c.c..

E’ quanto previsto dall’art. 2 legge 9 gennaio 1989 n.13 che consente all’assemblea condominiale di deliberare con le maggioranze indicate nell’art. 1136, comma 2 e 3,c.c. (maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio o, in seconda convocazione, con voto favorevole di un terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio).

Nel caso in cui il Condominio, sulla richiesta scritta dell’interessato, rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta, le deliberazioni necessarie alla realizzazione delle innovazioni idonee all’eliminazione delle barriere, i portatori di handicap, ovvero chi ne fa le veci, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso all’edificio, alle rampe ed ai garages.

Restano, tuttavia, vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità secondo l’originaria costituzione della comunione, ovvero che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, o che ne alterino il decoro architettonico (art.1120, comma 2, c.c.)

In un caso, è stata dichiarata la nullità della deliberazione di installazione di un ascensore volto a favorire le esigenze di due condomini portatori di handicap, in quanto essa, comportando la riduzione a cm.85 della larghezza della rampa delle scale, rendeva disagevole il contemporaneo passaggio di più persone e problematico il trasporto di oggetti di grosse dimensioni.

In un altro caso, si è escluso che l’apertura di un varco nell’androne condominiale, necessaria per l’installazione dell’ascensore, comportasse lesione al decoro architettonico del fabbricato od altro dei pregiudizi previsti dal 2° comma dell’art.1120 c.c. come integrativi delle innovazioni vietate in modo assoluto.

In altra fattispecie (Tribunale Ascoli Piceno, 21 febbraio 2005), non è stata consentita l’installazione di un ascensore nel pozzo luce di un edificio condominiale in quanto la cabina dell’ascensore avrebbe dovuto essere posizionata a meno di trenta centimetri dalle finestre delle abitazioni di altri condomini, addirittura facendo venir meno, per una parte di esse, i requisiti minimi di illuminazione naturale e di aerazione.
Puó affermarsi che tale ultima pronuncia è pienamente coerente con il divieto posto dal secondo comma del richiamato art.1120, in quanto tale innovazione avrebbe comportato grave compromissione dei diritti di proprietà esclusiva su altre unità immobiliari comprese nell’edificio, non essendo configurabile a carico dei vicini l’obbligo di adattamento delle proprie porzioni di piano in relazione alle esigenze del portatore di handicap.

l’art. 2 legge 9 gennaio 1989 n. 13

1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all’articolo 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, sono approvate dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile.

2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.

3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile.